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FABBRICA E MERCATO: DISPOTISMO ED ANARCHIA

Marx nel 1847 aveva notato ne “La miseria della filosofia” come in generale la divisione del lavoro nella società, cioè quella per professioni e mestieri, e la divisione del lavoro nell’officina, cioè quella manifatturiera, si sviluppassero parallelamente. Infatti scrive: “Si può … stabilire, come principio generale, che, quanto meno l’autorità presiede alla divisione del lavoro nell’interno della società, tanto più la divisione del lavoro si sviluppa nell’interno della fabbrica, e vi è sottoposta all’autorità di uno solo. Così l’autorità nella fabbrica e quella nella società, in rapporto alla divisione del lavoro sono in ragione inversa l’una dell’altra.” (op. cit., Editori Riuniti, 1974, p. 115). La questione viene ripresa nel 1867, con la pubblicazione del primo volume de “Il capitale”, dove il principio viene ripreso ed ulteriormente chiarito: “L’anarchia della divisione sociale del lavoro ed il dispotismo della divisione del lavoro a tipo manifatturiero sono portato l’uno dell’altro nella società del modo capitalistico di produzione … “ (op. cit., Editori Riuniti, 1964, p. 400 e sgg.).
Ciò accade perché la divisione sociale del lavoro è condizione di quella manifatturiera e viceversa. Infatti: “… la divisione del lavoro di tipo manifatturiero richiede una divisione del lavoro all’interno della società che sia già giunta ad un certo grado di maturazione. Viceversa, la divisione del lavoro di tipo manifatturiero sviluppa e moltiplica, per reazione la divisione sociale del lavoro.” (op. cit., p. 396).
Ma la situazione è complicata dal fatto che nel capitalismo non solo coesistono due divisioni del lavoro, ma queste sono in opposizione tra loro. Infatti nella prima la distribuzione delle risorse, - lavoro e mezzi di lavoro, - nei diversi rami della produzione ha luogo attraverso la libera scelta dei soggetti economici, scelta in realtà determinata dalla concorrenza, cioè dalle oscillazioni dei prezzi di mercato. E’ quello che i capitalisti chiamano libero mercato, considerato il campo d’azione della libera iniziativa e della realizzazione dell’autonomia dell’individuo. Ma qui, - in una amnesia che costituisce un tratto tipico del liberalismo, - si tace di ciò che rappresenta la seconda divisione del lavoro, quella di fabbrica, che al contrario di quella precedente si caratterizza per la forma dispotica che assume il rapporto di produzione. Di conseguenza l’organizzazione della produzione e l’allocazione delle risorse avvengono sulla base di un piano. Ma questo piano non appartiene ai lavoratori, ma al capitalista, che avendo acquistato sul mercato i fattori della produzione ne dispone autocraticamentee in particolare tale diritto proprietario si manifesta come comando sul lavoro.
Quindi si tratta di due forme di divisione del lavoro antagoniste. Da una parte concorrenza, dall’altra pianificazione; da una parte libertà, dall’altra dispotismo. Quale rapporto intercorre tra queste due forme che assume il rapporto di produzione nel capitale ? Non è questo il luogo in cui trattare tale questione, peraltro fondamentale. Tuttavia molto si può dire in proposito riferendosi non alle astratte categorie economiche ma a eventi concreti, fatti materiali sono la migliore esposizione della teoria.
I recenti avvenimenti che hanno avuto per protagonisti i lavoratori della FIAT e la direzione dell’azienda illustrano molto bene la sostanza della questione. I fatti sono noti. La dirigenza ha imposto ai lavoratori una revisione radicale del rapporto di lavoro, con la trasformazione del CCNL in contratto aziendale, con una restrizione di quelli che vengono chiamati diritti dei lavoratori. Principalmente si tratta della rappresentanza e del diritto di sciopero, oltre al problema dell’assenteismo e altro. La sostanza di tali questione sta nella richiesta da parte dell’azienda di avere come controparte un sindacato di ispirazione aziendalista, cioè che si identifichi con l’azienda, di interdire la possibilità di scioperare durante gli straordinari (sanzionando il sindacato che indicesse tale sciopero), di non corrispondere la retribuzione per i primi giorni di malattia.
Ma il fatto più significativo è come la direzione ha giustificato questa stretta autoritaria, cioè facendo appello alla competitività, non solo a parole ma vincolando esplicitamente gli investimenti in nuovi modelli alla accettazione da parte dei sindacati prima, dei lavoratori poi mediante referendum, delle nuove norme contrattuali, minacciando in caso contrario di dirottarli altrove. Su ciò si possono fare due osservazioni. In questa vicenda si è fatto ricorso da entrambe le parti ad un linguaggio molto diretto, evitando perifrasi ed il consueto gergo ideologico, che occulta la sostanza dei rapporti di fabbrica. Infatti, senza mazzi termini la direzione ha messo i lavoratori di fronte alla realtà della loro condizione, quella di salariati, cioè di “senza riserve”, di dipendenti in senso proprio dall’azienda, cioè impossibilitati a vivere senza di essa. La condizione di quelli che non hanno scelta.
Ma ciò significa, dal punto di vista del rapporto di produzione, una forte recrudescenza del dispotismo di fabbrica. Quale la causa ? Anche su ciò non sono state spese inutili circonlocuzioni: la necessità di stare sul mercato, quindi la concorrenza in un mercato che ha assunto dimensioni mondiali. Questo significa che si è avuto uno sviluppo della divisione internazionale del lavoro. In termini ideologici, nel mondo si è imposto il neoliberismo. Dato il rapporto necessario tra le due forme di divisione del lavoro ciò non può non ripercuotersi all’interno della fabbrica con un ulteriore sviluppo della divisione del lavoro manifatturiera, quindi una intensificazione del lavoro possibile solo con una recrudescenza dell’autoritarismo nella produzione.
Altri elementi che confermano la necessità di tale rapporto si possono dedurre facendo riferimento ai rapporti industriali nel paese che è il capofila del neoliberismo nel mondo, gli Stati Uniti. Essendo in tale contesto l’economia di mercato molto più sviluppata che altrove, anche qui a tale circostanza corrispondono relazioni di fabbrica assai più costrittive che in Europa. Particolarmente significativi sono i seguenti fatti (Cfr. J. Arnoult, Gli operai americani, Mazzotta, 1974). La rappresentanza sindacale è formata sulla base del maggioritario secco, secondo il quale i lavoratori sono chiamati a votare il sindacato dal quale vogliono essere rappresentati: quello che ottiene la maggioranza relativa ha la rappresentanza in esclusiva. Inoltre lo sciopero non è un diritto indisponibile, ma una possibilità che è oggetto di contrattazione, per cui i sindacati in generale si impegnano a non scioperare durante il periodo di validità del contratto, ma solo nei periodi di vacanza contrattuale tra un contratto e l’altro. Infine è previsto il “lay-off”, il licenziamento senza preavviso, cioè il lavoratore sa che ogni giorno al posto di lavoro può trovare ad attenderlo la lettera di licenziamento.
Il quadro generale che emerge da questi fatti, delinea il sistema della democrazia borghese, che si caratterizza per il fatto che garantisce i diritti in quanto diritti sovrastrutturali, cioè come diritti del cittadino, quindi al di fuori dei rapporti di produzione. Il rapporto tra le due sfere è tale per cui i diritti del cittadino sono tanto più tutelati quanto più essi svaniscono nel luogo di lavoro. Gli Stati Uniti appaiono il paese più democratico del mondo proprio in quanto è il paese capitalista avanzato più dispotico nelle fabbriche. Infatti i diritti del cittadino sono scrupolosamente tutelati da un sistema giudiziario molto attento nella difesa dei diritti astratti di cittadinanza. E mentre i diritti del lavoratore non sono riconosciuti come tali, quelli dell’imprenditore sono riconosciuti come diritti del cittadino. Ciò in forza di una legislazione che recepisce integralmente i principi del liberismo, identificando diritti e regole di mercato.
Tale contraddizione tra sfera della produzione e quella della circolazione, tra struttura e sovrastruttura è talmente estremizzato, che il carattere autoritario di una democrazia formale di questo tipo non può non trasparire al di là di tutte le mistificazioni poste il atto per occultarne la contraddizione. Per cui il regime politico degli Stati Uniti deve essere definito come un sistema di democrazia autoritaria. Operare questo svelamento è diventato sempre più importante in quanto tale regime è diventato in misura crescente il modello che ispira le riforme economiche e istituzionali che caratterizzano i tempi attuali in Italia e non solo. Il contratto della FIAT ne è solo un esempio e il suo vero significato è introdurre in Italia il tipo di rapporto di lavoro e sindacale da sempre praticato oltreoceano. Lo stesso può dirsi per le riforme istituzionali: il bipartitismo, il federalismo, la riduzione delle tasse, del ruolo dello stato, le privatizzazioni. Sono tutte riforme che mirano non solo un ritorno al liberismo classico, ma l’instaurazione del modello di liberismo integrale nella forma in cui esiste negli Stati Uniti.

Valerio Bertello Gennaio, 2011